CLAUDIO COSTA. Dove è l’alto, dove è il basso?

20 maggio – 4 luglio 2008
Milano, Galleria Blu (Via Senato 18, tel. 02.76022404)

Orari: da lunedì a venerdì 10-12,30 / 15.30-19.00, sabato 15.30-19.00 (chiusa domenica e festivi).

 

Concluse le mostre con cui ha celebrato i cinquant’anni di attività, chiarendo quale è stata in questi decenni la sua visione e filosofia dell’arte, la Galleria Blu intende ora aggiungere a quelli consueti un nuovo settore di ricerca, puntando l’attenzione su quegli artisti che hanno operato a partire dagli anni’ 60 su un versante dell’arte cui non è stata prestata la dovuta attenzione né dalla critica, né dal mercato.

Noi, come altri galleristi - annuncia Luca Palazzoli - ci assumiamo il compito di riproporli non al grande mercato speculativo, ma a quel mondo della condivisione che, per quanto ci riguarda, ha costituito per cinquant’anni la struttura portante della nostra attività”. Questo progetto, iniziato negli scorsi mesi con la mostra dedicata a Vincenzo Ferrari, si concentra ora sull’opera di Claudio Costa, un artista fuori dagli schemi che alla Galleria Blu era comparso nel 1978 e 1979 in mostre collettive dai significativi titoli “Lo spazio della memoria” e “Rien ne va plus”. Il titolo che abbiamo scelto per questa mostra Dove è l’alto, dove è il basso? deriva da un’opera dell’artista ed è esemplare della problematicità delle opere (ma soprattutto della vita) di Costa. Una domanda che può avere una risposta immediata o una estremamente complessa, dipende dal punto di vista secondo cui la si guarda. Sull’orlo dell’abisso su cui si pone, un artista come questo va a costruirsi una dimensione nuova, ora riesce a banalizzare la complessità ora cerca e ottiene il contrario. Questo è Costa.

La storia di Claudio Costa (1942-1995) affonda le radici nelle esperienze informali de-gli anni Sessanta, per calcare poi percorsi che attraversano l’arte concettuale, l’arte povera e Fluxus e concentrarsi infine su una ricerca dai presupposti e dalle valenze antropologiche che trova nella paleontologia il luogo di conoscenza e di riflessione sulle origini dell’uomo.

La ricerca che caratterizza l’opera di Claudio Costa inizia sulle spiagge della Liguria, con i materiali e i piccoli reperti che le acque depositano sulla sabbia. Su questi oggetti trovati-ritrovati si crea (per sé e per gli altri) essere umani primitivi, immaginandoli strumenti e oggetti di civiltà lontanissime. Questi reperti vengono classificati con metodo, quando in realtà sono frammenti di oggetti in parte riconoscibili portati dal mare sull’arenile. Costa li ha raccolti, invece, come fossero bottiglie contenenti messaggi, af-fidate alle correnti marine da antenati ormai estinti da tempo, a cui però dobbiamo la nostra esistenza e nei quali è per noi possibile ritrovarsi come in uno specchio.

La componente esplicita e descrittiva unita a quella misterica dei messaggi indecifrabili contenuti nelle bottiglie è quella che porterà con naturalezza Claudio Costa ad occuparsi di alchimia con puntate verso l’esoterismo. Questa descrizione dell’opera di Costa può essere utile per un primo approccio all’artista, ma è ben lontana dall’esaurire la bellezza artistica dei suoi lavori (quadri, contenitori, esperimenti, eccetera…), da quelli di piccola dimensione ai più significativi e impegnativi.

La mostra, che accoglie una ventina di opere di varia epoca, cerca di dar conto di que-sto, radunando opere storiche, dal curriculum importante, ma soprattutto opere espli-cative del suo pensiero e della profonda ricerca che le connota: fra le altre, meritano di essere ricordate “Nella terra degli aborigeni” (1977) “Pala della coniunctio” (1983 ca.) e “La sedia di Vincent” (1984 ca.).

La particolarità dell’artista non deve far dimenticare l’attenzione che gli è stata riservata dalla critica più attenta. Dopo la prima personale nel 1969 Galleria La Bertesca di Ge-nova, si segnala con importanti presenze in Germania: nel 1971 alla Produzenten Ga-lerie, la galleria di avanguardia di Dieter Hacher a Berlino, nel 1974 alla Ludwig Galerie di Aachefi con una personale e nella mostra "Spurensicherung: Archalogie und Er-rinerung" ad Aachen, Amburgo e Monaco con importanti lavori. Partecipa nello stesso anno a "Project '74" di Colonia dove espone il Museo dell'Uomo, che poi viene esposto anche a Milano in Palazzo Reale, nell'ambito della mostra "La ricerca dell'identità". Nel 1977 lo troviamo a "Documenta 6" a Kassel e nel 1978 in Spagna dove installa una grande scultura al museo Vostell di Malpartida di Càceres. Nel 1981 è alla Kunsthalle di Zurigo nella mostra "Mithos und Rithual" e nel 1986 alla Biennale di Venezia nella sezione "Arte e alchimia", curata da Arturo Schwarz. Da ricordare, fra le mostre a lui dedicate dopo la morte, l’antologica “L’ordine rovesciato delle cose” presentata nel 2000 al Museo d’Arte Contemporanea di Villa Croce a Genova.

CLAUDIO COSTA - Nota biografica
Claudio Costa nasce a Tirana, nel 1942, da genitori italiani che tornano in Italia alla fine dello stesso anno. La prima residenza italiana di Costa è presso i parenti a Monleone di Cicagna, in Liguria. Nel 1950 l'artista si trasferisce a Chiavari dove frequenterà il Liceo scientifico per poi iscriversi, nel 1961, alla facoltà di Architettura del Politecnico di Milano. Nei primi anni Sessanta il suo interesse si volge soprattutto al disegno e alla pittura di matrice informale. Inizia a frequentare la galleria milanese Del Grattacielo di Enzo Pagani. Sempre a Milano, nel 1962, vince con due lavori il premio "Diomira" della raccolta Bertarelli per il disegno; nel 1963 il premio "San Fedele".
Nel 1964 vince una borsa di studio per l'incisione indetta dal governo francese. Va quindi a Parigi per lavorare nell'atelier di Hayter, in Rue Daguerre, a Montparnasse. A Parigi, dove vive a Passage Rauch, vicino alla Bastiglia, impara alcune tecniche calcografiche e perfeziona la tecnica del disegno.
Nel 1965 si sposa con Anita Zeiro; nello stesso anno a Parigi nasce la figlia Marisol. Nel 1965 conosce, nell'atelier Rue Daguerre, Marcel Duchamp che aveva fatto stampare da Hayter la sua incisione I fumatori di pipa. Di questi anni sono le sue prime opere pittoriche che rimandano alla Pop-Art. Partecipa al maggio francese e con un gruppo di artisti (Alechinsky, Jorn, Bona Pieyre de
Mandiargues, Cremonini-Gaudibert, Matta, Dufour-Butor, Milhaud, Segui, Silva Cortazar) realizza affiches per il 1968 pubblicati nel libro Mai '68 Affiches dalle edizioni Tchou.
Nell'autunno dello stesso anno torna in Italia e si stabilisce a Rapallo dove, tra l'altro, si avvicina alla figura e all'opera di Ezra Pound, che vi aveva a lungo soggiornato. Qui nella grande casa messagli a disposizione dal suocero Luigi Mario Zeiro, che ha sempre avuto per lui grande affetto e stima, Claudio Costa ha il suo atelier e ospita critici e artisti tra cui Mario e Marisa Merz, Bernard Venet,Sekine, Filliou, Vostell. Il 1969 è un anno particolarmente importante per Costa. Inizia infatti a lavorare con materiali come la grafite, l'amido, le fotocopie, la colla, le argille, gli acidi, come racconta lui stesso in un testo autobiografico pubblicato su Materiale e metaforico (Genova, 1979).
Del 1969 è la sua personale alla galleria La Bertesca di Genova il cui direttore, Francesco Masnata, contribuisce a introdurlo nel circuito internazionale dell'arte contemporanea: dal Concettuale, all'Arte povera, a Fluxus. Tra il 1970 e il 1971 l'interesse di Costa si concentra sulla paleontologia come strumento di conoscenza e di riflessione sull'origine dell'uomo. Alla fine del 1971 espone alla Produzenten Galerie — la galleria di avanguardia di Dieter Hacher a Berlino - una serie di opere ispirate al tema della preistoria. In concomitanza con questa esposizione, pubblica, per le edizioni Masnata, il libro Evoluzione Involuzione che costituisce il fondamento teorico delle sue ricerche antropologiche. Subito dopo, grazie anche ai contatti con l'esploratore Thor Heiderthal e con il museo di Wellington, realizza un ciclo di opere ispirate ai Maori della Nuova Zelanda (Geografie umane, Mappe facciali, Tatuare il tatuaggio, Gli occhi dei Maori riflettono i colori latenti della foresta).
Nel 1974 gli viene dedicata un'importante mostra personale alla Ludwig Galerie di Aachefi, in Germania, dal titolo "Uber die Evolution". Sempre in quest'anno è invitato da Gunter Metken e Uwe Schneede alla mostra "Spurensicherung: Archalogie und Errinerung" (Amburgo, poi Monaco).
Nell'estate partecipa al "Project '74" di Colonia dove espone il Museo dell'Uomo, che poi viene presentato a Milano a Palazzo Reale, nell'ambito della mostra "La ricerca dell'identità".
Nell'estate dello stesso anno, decide di compiere un viaggio in Marocco dove ancora si trovano culture primitive non contaminate. Su questa ricerca, pubblica nel 1974 il libro Due esercizi di antropologia. Nel 1975 lavora a Inventario delle culture, una serie di vetrine in legno, in ognuna delle quali colloca testimonianze di culture primitive diverse, molto lontane fra loro nel tempo e nello spazio, ma legate dall'unicità dell'origine umana e dalla rassomiglianza dei miti. A seguito di questa idea, torna nei luoghi della sua infanzia, sulle colline della Fontanabuona, insieme all'amico pittore Aurelio Caminati e, nel settembre 1975, crea a Monteghirfo il Museo di Antropologia Attiva, incentrato sull'idea che l'oggetto, per non perdere il suo "statuto antropologico" (l'antico gesto di fabbricazione), doveva essere visto e capito nel suo luogo di appartenenza e di significanza. È il museo che si sposta attorno all'oggetto con un geniale ribaltamento del ready-made duchampiano. Nel lavoro Le case di fango, del 1976, interpone le immagini e le ricostruzioni del museo di Monteghirfo con i calchi e le ricostruzioni di un Museo di Storia Naturale. Nel 1977 si trasferisce a Genova e, nello stesso anno, partecipa a "Documenta 6" con l'opera Antropologia riseppellita. In questo periodo teorizza il ciclo di lavoro "Work in regress", speculare e complementare a quello di James Joyce "Work in progress". Nel 1978 installa una grande scultura al museo Vostell di Malpartida di Càceres, nell'Estremadura, nel sud della Spagna e partecipa a Bologna alla mostra "Metafisica del quotidiano", dove espone lavori sugli indiani Pueblo del Nuovo Messico, strettamente collegati alla sua scoperta dell'alchimia. Nel 1981 è invitato da Erika Billetter alla mostra "Mithos und Rithual" alla Kunsthalle di Zurigo.
Nel 1985 la visita alle grotte di Lascaux in Francia è fra le concause dell'evoluzione della ricerca dell'artista dalla prima alla seconda fase alchemica. L'ultimo lavoro della fase prettamente alchemica è Diva bottiglia (per un museo dell'alchimia) che espone alla Biennale di Venezia del 1986 nella sezione "Arte e alchimia", curata da Arturo Schwarz. A partire dal 1987, comincia a usare lamiere, legno annerito, ferro e altri materiali; l'iconografia si fa più essenziale, spesso monocroma o giocata sul contrasto fra due elementi. Dal 1988 lavora all'ospedale psichiatrico di Genova Quarto come terapeuta artistico e, dal 1989, prende a collaborare con il Centro Diurno di Salute Mentale. Costa ha, all'interno dell'ospedale, un grande atelier. In questo periodo fonda l'Istituto per le materie e le forme inconsapevoli (Arte della persona) che si occupa, principalmente, dello sviluppo e della creatività nell'ambito psichiatrico e della fondazione del Museo Attivo delle Forme Inconsapevoli, che espone opere dei malati insieme a opere di artisti. Nel 1990 Costa compie un viaggio in Africa dove ritornerà più volte sino al 1993. Il suo progetto culturale è ora incentrato sullo scambio tra il mondo occidentale e quello africano. Ciò che in questo periodo lo interessa particolarmente è l'idea di creare un museo in cui siano esposti i lavori realizzati sul posto da artisti occidentali e artisti africani. Nel 1994 realizza un mobile marmorizzato che, costituito da un vecchio schedario della struttura ospedaliera, come i precedenti mobili-museo, compendia il suo lavoro di quegli anni.
Muore improvvisamente a Genova il 2 luglio 1995.
Nel 2000 il Museo d'Arte Contemporanea di Villa Croce a Genova gli dedica l’antologica dal titolo L’ordine rovesciato delle cose.

Biografia a cura di Angela Madesani tratta dal catalogo della mostra “L’ordine rovesciato delle cose”, Museo d’Arte Contemporanea di Villa Croce, Genova, 2000.